Attorno a Vaticano II
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Un periodo particolarmente ricco per il pensiero cattolico è stato quello del Concilio Vaticano II. William Van Roo, S.I., professore di teologia sacramentale (battesimo, cresima e matrimonio), era direttore della rivista dal 1958. Molti professori della Gregoriana che scrivevano per Gregorianum vennero «utilizzati» da alcuni vescovi nelle commissioni e loro gruppi di riflessione, o come teologi al servizio personale di tale o tale padre conciliare per quanto riguardava una ‘questione’ particolare. Ecco perché, durante questi anni, il volume degli articoli pubblicati in Gregorianum diminuisce rispetto a quello delle recensioni, le quali aumentano di molto: è legittimo affermare che, durante questi anni, gli scrittori si sono messi all’ascolto della produzione teologica universale per rendere il loro discernimento (e quindi il loro servizio al concilio) più competente, mettendo da parte le loro opinioni personali. Alcuni articoli fanno però eco direttamente ai lavori del Concilio, per esempio l’articolo di Jean Beyer, S.I., professore di diritto canonico, sugli istituti secolari, pubblicato nel 1965/3, quasi contemporaneamente al voto finale (28 ottobre 1965) del decreto Perfectae caritatis (sulla vita religiosa), che contiene per l’appunto un paragrafo che tratta dello statuto di questi istituti (§ 11). Simili articoli sono però rari; la rivista preferisce non riferire gli eventi del concilio, nemmeno nelle «Note» in cui si continua tuttavia a segnalare e commentare (positivamente e negativamente) i congressi e le riunioni scientifiche più importanti del momento, per esempio in teologia storica o in filosofia.
Dopo il concilio vengono pubblicati alcuni testi che sottolineano gli orientamenti rinnovatori venuti dalle decisioni dei Padri conciliari e assunti dalla Gregoriana. Si vedrà per esempio nel 1966/1 un testo di Edouard Hamel, S.I. sull’uso della Sacra Scrittura in teologia morale (l’autore continuerà la sua riflessione in 1971/3, 1973/3, 1975/2) e la riflessione di Josef Fuchs, S.I. sulla libertà religiosa. La rivista mette anche in evidenza l’importanza della continuità della tradizione, che il Vaticano II non rompe; una nota di Zoltán Alzeghy, nello stesso fascicolo d’inizio del 1966, paragona le professioni di fede luterane e la dottrina di Trento sulla questione del peccato originale. Il primo fascicolo del 1968 sarà interamente dedicato a Pietro e Paolo, «Principi degli apostoli» (ricordiamo che il Concilio Vaticano II si concentrò sul ministero dei vescovi, dopo che il Vaticano I si era occupato del ministero pontificio).
La novità del Vaticano II e la sua esigenza quanto alla maniera di fare e d’insegnare teologia vengono tuttavia affermate con forza in un numero speciale del 1969/3-4 dedicato, per iniziativa di Peter Henrici, S.I., direttore di Gregorianum dal 1968, all’«Orizzonte dell’insegnamento teologico». Alcuni autori di questo numero, che non fanno parte del corpo professorale della Gregoriana, sono di grandissima autorevolezza (Hans Urs von Balthasar scrive su «Teologia e spiritualità», e Karl Rahner, S.I. sul diritto della teologia a essere pastorale); altri autori, di casa, sono anche loro famosi: Bernard Lonergan, S.I. (che aveva terminato Insight e preparava Method in Theology), Juan Alfaro, S.I. (consultore del Concilio Vaticano II, membro per 10 anni della Commissione Internazionale di teologia), Angel Antón, S.I. (ecclesiologo considerato, specialista del ministero vescovile), Josef Fuchs (teologo moralista, tanto prudente quanto contestato), Peter Henrici (professore di filosofia moderna, futuro vescovo in Svizzera), Mariasusai Dhavamony, S.I. (fenomenologo delle religioni), Hervé Carrier, S.I. (sociologo, rettore della Gregoriana dal 1966 al 1978, autore dell’articolo introduttivo molto significativo della situazione di allora: «Le responsabilità dell’Università moderna»). L’insieme di questi saggi illustra quanto la teologia post-conciliare aveva allargato il suo orizzonte. Siamo molto lontani delle discussioni interne al gioco linguistico scolastico, dai suoi problemi interni. La tradizione antica e viva della Chiesa ritrovava piena dignità in teologia.
Presentiamo rapidamente alcuni di questi articoli. L’articolo di Lonergan era d’ordine metodologico, come l’opera intera dell’autore: la riflessione sul metodo teologico si imponeva infatti come una necessità quasi nuova, il metodo scolastico non essendo più l’unico affidabile. Disporre la Sacra Scrittura al centro della dogmatica era anche relativamente nuovo; appena vent’anni prima, alcuni teologi importanti dell’epoca sostenevano che la formalità sistematica del tomismo, con la sua bella unità, era più certa e sicura dei Vangeli, che d’altronde sono quattro e non d’accordo tra di loro: l’articolo di Alfaro possiede quindi la sua importanza. Per Antón, l’ecclesiologia, con i suoi aspetti antropologici, può essere situata in un punto che rende possibile una visione nuova della teologia intera; in ciò si manifesta l’esigenza di una teologia al servizio di una fede che abbia senso per la vita del credente, che sia adatta alle esigenze dell’epistemo- logia contemporanea e non solo alle domande nate dall’interno del sistema auto-referenziale della scolastica.
Nei successivi anni la politica della rivista rimane fedele a questa nuova impostazione. Le problematiche scolastiche preconciliari scompaiono quasi interamente. L’attenzione alle dinamiche contemporanee e la loro assunzione critica è evidente. L’accento si pone sulla riflessione antropologica coinvolta nelle affermazioni teologiche e filosofiche. Segno ne è la moltiplicazione degli articoli di filosofia, di Joseph de Finance, S.I. (professore di etica filosofica, autore fecondo in etica tanto personalista quanto tomista), di Francis O’Farrell, S.I. (professore di metafisica) su Kant, di Peter Henrici su Blondel o sull’intreccio della fede e della ragione, di Xavier Tilliette, S.I. (professore invitato ogni anno) sull’idealismo tedesco, Schelling e la sua discendenza, di Joannes B. Lotz, S.I. (anche lui invitato annualmente) su Heidegger, ecc.